Alvine Demanou, AfroFashion Stylist

Alvine Demanou, AfroFashion Stylist

Alvine Demanou

Afro Fashion Stylist

Conoscere Alvine è un’esperienza travolgente: un carico di umanità, calore e saggezza. Una donna che ha sofferto molto ma ha sempre saputo trasformare il dolore in bellezza. La sua moda unisce i popoli, è un vero atto di inclusione. Eppure vedendola sul catwalk alla Milano Fashion Week sembra una pantera nel suo habitat!
La sua storia ci insegna che la vita non è facile, le emergenze sono continue, purtroppo in questi giorni il suo paese, il Camerun, sta vivendo momenti difficili e c’è bisogno di tanta solidarietà. Pubblico per la prima volta ora l’intervista che mi concesse qualche tempo fa non con leggerezza ma con la speranza di accendere l’attenzione sul suo lavoro anche per il bene della sua famiglia e del suo paese.

Alvine, ci racconti il tuo primo incontro con la moda? C’è stato un momento in cui hai capito che sarebbe diventata la tua strada?

A Natale, l’azienda ferroviaria francese in cui lavorava mio padre faceva arrivare dei giocattoli, tra cui delle bambole vestite all’ultima moda parigina.
Mia mamma era molto bella ed elegante: insieme a mio papà formavano una coppia di tendenza per l’epoca. Lei era sarta e confezionava per me e le mie sorelle gonne scozzesi a pieghe, salopette con camicette dal colletto claudine, prendendo ispirazione dai cataloghi francesi La Redoute — una sorta di antenato di Amazon. Per lei, mio padre ordinava da Parigi abiti di grande qualità.

Ho trascorso la mia infanzia tra stoffe, riviste di moda francesi e libri.
Con il tempo mi sono resa conto che, tra le mie quattro sorelle, nessuna condivideva questa mia passione. È stato allora che ho capito che quella sarebbe stata la mia strada.

Senza un reale appoggio da parte dei miei genitori — che consideravano la moda un semplice capriccio — ho proseguito i miei studi, laureandomi in Giurisprudenza, ma senza mai perdere di vista quel “filo invisibile”. Così, a 23 anni, dopo la laurea, ho aperto a Douala il mio primo piccolo atelier.

Il tuo stile fonde elementi africani con tagli e linee contemporanee. Come nasce questa combinazione?

Il fatto che io sia nata Alvine, ma anche Djatsa; che parli Yemba, ma anche francese; che ascolti Makossa, ma anche Beethoven... tutto questo si riflette naturalmente nel mio modo di creare.
Accosto con naturalezza il taffetà o il canvas al bogolan o al ndop, e li propongo sia in un trench coat che in un kaba.
Sono convinta che, a prescindere da come nascano, le contaminazioni culturali rappresentino la ricchezza dell’umanità. Tutte le culture del mondo sono frutto di scambi, incontri e mutazioni costanti. È un ciclo inevitabile — e meraviglioso.
I suoi capi e accessori sono realizzati a mano con i migliori artigiani anche che lavorano per i più famosi marchi del lusso.

Hai già ricevuto numerosi riconoscimenti e sei parte di “Afro Fashion”. Qual è la missione del progetto e com’è farne parte?

Ho sempre provato un certo pudore nel parlare di me stessa. Non amo la competizione: mi esprimo, e poi lascio che accada ciò che deve accadere.

Nel 2006 ho ricevuto il Premio Nord Est Aperto per “aver saputo integrarmi nel Veneto con operosità”.
Nel 2011, ai Tropics Awards di Johannesburg, sono stata premiata come miglior accessorista per le borse Miriam Makeba e Katoucha.
Nel 2019 sono entrata a far parte dei 500 African Doers di Johannesburg.

Tengo molto anche a ricordare le due sfilate che ho organizzato con l’Ambasciata d’Italia in Camerun: una presso il loro stand alla fiera Promote, e un’altra durante la Festa della Repubblica, alla presenza del Ministro degli Esteri dell’epoca, Giglio (2016-2017).

Afro Fashion Week Milan è un trampolino di lancio per designer emergenti, un palcoscenico per l’innovazione e un crocevia di culture. Crea opportunità per far emergere e celebrare la diversità nel mondo della moda.
Entrarvi significa appartenere a una comunità che valorizza i profili “non visti”, provenienti da ogni parte del mondo, offrendo loro una piattaforma internazionale dove esprimere la propria value proposition.

Come affronti il tema della sostenibilità nella tua produzione?

Da quasi quattro decenni ho scelto di mettere l’uomo e la natura al centro della mia attività.
Collaboro con artigiani — che considero i veri creatori, anche se spesso trascurati — e utilizzo solo materiali naturali e genuini.
Lavoro con aziende che condividono la mia stessa visione, fondata sul rispetto dell’ambiente e della dignità umana.

Foulard

I suoi foulard sono realizzati a mano in seta dai migliori artigiani.

Maison Alvine Demanou è più di un marchio: è una visione. Come immagini il futuro della tua maison?

La Maison è per me un luogo astratto, ma caldo e generoso.
Un luogo che vorrei diventasse sempre più ampio, capace di accogliere chiunque abbia a cuore, nel grande o nel piccolo, la salvaguardia del nostro pianeta, unico dono prezioso e pulsante di vita del nostro sistema solare.

Credo che la luce interiore sia quella che poi irradia all’esterno, e che io cerco solo di sublimare attraverso le mie creazioni.

Che consiglio daresti ai giovani creativi che desiderano intraprendere una carriera nella moda, specialmente a chi proviene da contesti multiculturali?

Chi sente dentro di sé quella chiamata deve intraprendere un percorso formativo mirato, per scoprire e valorizzare i propri punti di forza.
Serve lavorare molto su di sé, ma anche aprirsi agli altri: leggere, viaggiare, guardare film.
La multiculturalità è una fonte inesauribile di ispirazione e ricchezza.

Infine, come può Wanna aiutarti a realizzare i tuoi sogni?

Lo state già facendo.
Vi sono profondamente grata per l’interesse e per la volontà di creare connessioni con le realtà del territorio.
Credo molto in questo percorso condiviso: sono certa che porterà frutti sorprendenti, per tutti noi.

In questa foto con le presidenti di ConfapiD Venezia e Luigina Vice Presidente Vicaria Nazionale ConfapiD, Cheti Ciuto e Luigina Barbuio, alla Pink Parade 2025

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Alvine Damanou, fashion designer

Indirizzo
Venezia

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